La gestione della pandemia ha portato in secondo piano la prevenzione oncologica, causando ritardi diagnostici che si tradurranno in una significativa riduzione della sopravvivenza dei pazienti. La biopsia liquida non è soggetta ai ritardi che stanno compromettendo la buona tenuta dei programmi di screening tradizionali e riduce al minimo il rischio di essere contagiati dal Sars-Cov-2 durante le analisi.
Con gli ospedali e gli ambulatori impegnati nella gestione dei pazienti con Covid-19, la prevenzione oncologica è passata in secondo piano. L’amara verità emerge da più studi condotti in differenti parti del mondo, Italia inclusa. Nell’attesa di dati più aggiornati che tengano in considerazione gli effetti della seconda ondata di infezioni e dei nuovi lockdown imposti in alcune Regioni, è bene non indugiare a riprendere la buona abitudine di cercare di intercettare il cancro prima che si manifesti con i suoi sintomi, evitando di accumulare ritardi diagnostici. Fortunatamente, il modo per farlo riducendo al minimo il rischio di essere contagiati dal Sars-Cov-2 non manca: si tratta della biopsia liquida, metodica altamente sensibile per la diagnosi dei tumori solidi.
Le conseguenze dei ritardi diagnostici
Un’analisi condotta nel Regno Unito e pubblicata su The Lancet Oncology nello scorso mese di luglio sottolinea proprio le conseguenze dei ritardi diagnostici accumulati a causa di questa situazione. Valutando i dati riguardanti quasi 100 mila pazienti con un cancro al seno, al colon retto, all’esofago o al polmone, Camille Maringe e colleghi hanno stimato l’impatto della diagnosi tardiva sul periodo compreso tra il 16 marzo 2020 e il 15 marzo 2021, giungendo alla conclusione che la possibilità di essere ancora vivi 1 o 5 anni dopo la diagnosi si ridurrebbe significativamente.
La riduzione della sopravvivenza a un anno è stimata tra l’1% e il 6,3%, a 5 anni tra il 3,5% e il 6,4%. In soli 12 mesi il numero dei decessi potrebbe aumentare del 6% nel caso del cancro al seno, del 7,7% in quello del cancro al polmone e del 10,3% in quello del cancro all’esofago. Nel caso del cancro del colon retto la situazione potrebbe essere ancora più drammatica: l’aumento dei decessi supererebbe già il 20% nel primo anno. E se nel caso del cancro al seno le morti sono destinate ad aumentare ulteriormente, con un incremento a 5 anni stimato fino a quasi il 10%, il numero di decessi per tumori al polmone o all’esofago si stabilizzerà solo perché molti dei casi saranno fatali già nel primo anno dopo l’identificazione del cancro proprio a causa del ritardo nella diagnosi – un ritardo che corrisponderà all’individuazione di forme tumorali in fasi di sviluppo più avanzate.
In totale, Maringe e colleghi stimano che nei prossimi 5 anni i decessi per questi 4 tipi di tumori attribuibili ai ritardi diagnostici generati dalla pandemia potrebbero superare i 3.600 casi. E le stime non sono migliori nemmeno negli Stati Uniti. In un editoriale pubblicato su Science, Norman E. Sharpless, direttore dello U.S. National Cancer Institute di Bethesda, prospetta un aumento dei decessi per cancro del colon retto e, ancor più, per cancro al seno fino ad almeno il 2030.
Prevenzione oncologica e Covid-19: i dati in Italia
In Italia, a puntare i riflettori su questo argomento è stato l’Osservatorio Nazionale Screening (Ons) che, insieme a Regioni e Ministero della Salute, è coinvolto nell’attuazione dei programmi di screening e nel loro monitoraggio. I dati che ha diffuso riguardano il periodo tra gennaio e maggio 2020 e hanno valutato il ritardo accumulato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente per tre tipi di screening: quello mammografico (per la diagnosi precoce del tumore al seno); lo screening colorettale per la prevenzione del cancro del colon-retto; e quello cervicale (Pap test e test Hpv) contro il cancro della cervice uterina.
L’Osservatorio ha espresso questo ritardo in termini di “mesi standard”, ossia di mesi di attività che sarebbero stati necessari per effettuare gli screening lasciati in sospeso se i programmi fossero tornati a pieno regime già alla fine del primo lockdown. Il quadro che è emerso non era fra i più rassicuranti. A seconda dello screening, e della Regione presa in considerazione, per recuperare il tempo perso ci sarebbero voluti in teoria da 2 a più di 3 mesi e mezzo, ma in pratica non tutte le Regioni avevano ripreso a eseguire i test di screening. Nel frattempo, i casi di cancro al seno non diagnosticati sono stati 2.099, quelli al colon retto quasi 4.000 e quelli alla cervice più di 1.600, e poco dopo anche l’Italia si è ritrovata alle prese con la seconda ondata pandemica e con le sue conseguenze.
Cause e soluzioni
Da un lato alla base dei ritardi accumulati dai programmi di screening c’è stata l’interruzione, prima, e la necessità di riorganizzare, poi, le attività all’interno delle strutture sanitarie. La carenza di personale, dirottato verso altri compiti necessari per affrontare la prima ondata pandemica, e la necessità di ridurre al minimo il rischio di diffusione dei contagi hanno ostacolato anche la ripresa degli screening a pieno regime. Secondo il rapporto sulla ripartenza degli screening dell’Ons a maggio solo 13 delle 20 Regioni che hanno partecipato all’indagine hanno erogato mammografie di screening, solo 11 hanno ripreso a eseguire lo screening colon rettale e solo 13 quello cervicale. D’altra parte, i pazienti si sono dimostrati restii a riprendere a sottoporsi agli screening proprio a causa del timore di aumentare il rischio di entrare in contatto con il virus.
In entrambi i casi, già oggi esiste un’alternativa ai tradizionali percorsi di screening che aiuta a evitare che contingenze e paure si traducono in pericolosi ritardi diagnostici: la biopsia liquida. Questa metodica, estremamente sensibile, è basata su un semplice prelievo di sangue periferico, all’interno del quale è possibile identificare eventuali cellule tumorali circolanti (CTC) e DNA tumorale circolante (ctDNA), rilevando così la presenza di un tumore solido. Non solo, la biopsia liquida permette anche di studiare il profilo genomico del tumore. «Questo offre la possibilità di un intervento terapeutico con agenti target-based», spiega Giuseppe Novelli, Professore Ordinario di Genetica Medica all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. «La biopsia liquida si sta rivelando un potente strumento per valutare il profilo genomico del tumore dei pazienti permettendoci di studiare, attraverso le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione, l’eterogeneità delle mutazioni e la loro frequenza, in modo dinamico. Consente quindi anche il monitoraggio della risposta alla terapia e l’identificazione precoce dei meccanismi di resistenza. L’implementazione di questa tecnica nella pratica clinica», sottolinea Novelli, «migliorerà le procedure diagnostiche mirate e le terapie personalizzate nei pazienti con tumori diversi». Ma non finisce qui, perché con questo approccio è anche possibile analizzare il DNA circolante per valutare il livello di mutazioni nelle cellule somatiche di individui sani, e quindi la presenza di segnali di condizioni precancerose.
Un ulteriore vantaggio rispetto alle tecniche di screening tradizionali è dato dal superamento del limite della dimensione minima della massa tumorale che consente di individuarla. Infatti la biopsia liquida intercetta il DNA del tumore, non la sua massa, e questo permette di individuare il cancro più precocemente di quanto sia possibile fare con le tecnologie basate sull’imaging. Infine, il prelievo di sangue può essere effettuato a casa, evitando così sia di impegnare le strutture sanitarie sia eventuali rischi di contagio.
«La biopsia liquida non è soggetta ai ritardi che stanno compromettendo la buona tenuta dei programmi di screening tradizionali», spiega Giuseppe Mucci, CEO di Bioscience Institute, che insieme a Tor Vergata ha dato vita a Bioscience Genomics, lo spin-off accademico che, prima di qualunque altra azienda, ha iniziato a eseguire test genetici per la gestione del rischio di tumori solidi. «Utilizzata in alternativa alle classiche metodiche di screening, in particolare a quelle basate sull’imaging come la mammografia, alla colonscopia e al Pap test (o al test Hpv), può aiutare a ridurre l’impatto della pandemia sulla tempestività delle diagnosi, e quindi sulle conseguenze del Covid-19 sulla mortalità associata alle patologie tumorali».
Per maggiori informazioni sulla biopsia liquida e su Helixafe, il programma per l’analisi delle mutazioni somatiche precancerose, consulta la pagina web dedicata, oppure contatta Bioscience Institute al Numero Verde 800 690 914.
Bibliografia
- Armaroli P. et al. Rapporto sui ritardi accumulati alla fine di maggio 2020 dai programmi di screening Italiani e sulla velocità della ripartenza. A cura del Gruppo di lavoro ONS.
- DuBois RN. COVID-19, Cancer Care and Prevention. Cancer Prev Res (Phila). 2020 Nov;13(11):889-892. doi: 10.1158/1940-6207.CAPR-20-0468
- Maringe C et al. The impact of the COVID-19 pandemic on cancer deaths due to delays in diagnosis in England, UK: a national, population-based, modelling study. Lancet Oncol. 2020 Aug;21(8):1023-1034. doi: 10.1016/S1470-2045(20)30388-0
- Patt D et al. Impact of COVID-19 on Cancer Care: How the Pandemic Is Delaying Cancer Diagnosis and Treatment for American Seniors. JCO Clin Cancer Inform. 2020 Nov;4:1059-1071. doi: 10.1200/CCI.20.00134
- Sharpless NE. COVID-19 and cancer. Science 19 Jun 2020: Vol. 368, Issue 6497, pp. 1290 doi: 10.1126/science.abd3377